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La Parola è diventata visibile

autore: Monastero

«Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia».
Papa Benedetto

Ma forse ancora più piccola, se così si può dire. Piccola nel grembo di Maria, quando, come oggi si può vedere nelle ecografie, dà i calcetti e si succhia il ditino; piccola, ancora prima, quando lo zigote comincia a differenziare i tessuti e a formare i primi organi. Davvero ha ragione san Paolo quando afferma che Cristo “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.” (Fl 2,7). Ha assunto veramente tutta la natura umana, assoggettandosi ai ritmi della nostra crescita e delle vicende del nostro vivere.

Andiamo allora con san Luca a contemplare il Bambino nella mangiatoia. “Per loro non c’era posto nell’alloggio”. Se avessero saputo, gli abitanti di Betlemme, chi era quel Bambino che doveva nascere… Proprio come dice Giovanni nel Prologo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Dio viene a noi silenziosamente, nascostamente, senza far chiasso, senza suonare la tromba: “ecco viene il gran Re!”
Il Re supremo, il Signore e Creatore dell’universo viene nel mondo e nessuno se ne accorge; la storia è alla svolta e tutto continua come prima, come se nulla fosse accaduto.

Eppure da questo momento Dio ha un volto umano, si può vederlo e persino toccarlo.
La Parola è diventata visibile. Se leggiamo bene il testo di san Luca, ascoltiamo i pastori, che hanno ricevuto l’annuncio dell’angelo, dirsi l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Ma in greco l’ “avvenimento” della nostra traduzione è “la parola”: andiamo a vedere questa parola che è avvenuta.

Papa Benedetto dice in una omelia per Natale: «Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1,15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente».

Si vede la Parola… e si vede la voce, come leggiamo in Ap 1,12: “Mi voltai per vedere la voce che parlava con me”. I nostri parametri sono rovesciati nella logica della misericordia divina. Ma possiamo fidarci della divina novità.

Il Vangelo di Natale ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme… Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco; e in latino et venerunt festinantes; in questa parola latina sentiamo la fretta, ma anche la gioia festosa di una bella notizia che ci fa correre per vederla.

L’angelo lo aveva detto: È nato per voi un Salvatore. Per voi, proprio per questi “poveri del Signore”, che forse neppure avevano letto le Scritture, ma che, come tutto il mondo di allora, aspettavano un Salvatore che avrebbe cambiato il corso della storia.

Allora anche noi corriamo, perché il Signore ci viene incontro e siamo impazienti di incontrarlo.
Una antica omelia, non so più di quale Padre della Chiesa, che leggevamo in latino per la festa di san Benedetto, diceva, citando il salmo 18/19: exultavit ut gigans ad currendam viam suam, che per correre dietro al nostro Santo, o addirittura allo stesso Signore, dovevamo, praticando la povertà monastica, liberarci da tutti i pesi inutili, perché oneratus eum sequi non potest.

Noi corriamo, perché Cristo Signore viene ora e non vogliamo mancare l’appuntamento: la celebrazione liturgica infatti ci fa rivivere il mistero e opera ciò che celebra.

Nella liturgia non abbiamo soltanto la commemorazione di un evento della vita di Cristo, ma essa opera in noi quello che ci dice e che la Chiesa ci fa solennizzare. Quante volte ripetiamo HODIE, “oggi” ; sì, oggi si compie di nuovo in noi quel mistero e Cristo di nuovo entra in noi con la sua grazia di salvezza, per guarire, per incoraggiare, per colmare. E sempre ricomincia, con pazienza, con costanza, con amore, per donarci la sua vita in abbondanza, perché la nostra gioia sia piena.

Tutti i Padri e tutti gli autori spirituali lo ripetono. In Origene (Omelie su Luca, 22,1-4) leggiamo: “A che ti serve infatti che Cristo sia venuto un tempo nella carne, se non è venuto anche nella tua anima?”.
Leggiamo in san Roberto Bellarmino:
“Questo mistero mentre ogni anno la Chiesa celebra, ella ci ammonisce a tener perpetua memoria di così gran carità usataci dal misericordioso Dio; e insieme ci insegna che la venuta del Signore non fu solamente per quelli, che avanti o che allora si trovarono nel mondo quando egli venne, ma la virtù d’essa resta sempre per beneficio di tutti noi ancora, se per mezzo della santa fede e dei divini sacramenti vorremo ricevere la grazia che ci ha portata, e secondo quella ordinare la vita nostra sotto la sua obbedienza. Vuole ancora che intendiamo, che sì com'egli venne una volta in carne al mondo, così, se per noi non resta, è per venire ogni ora, anzi in ogni momento, ad abitare spiritualmente nell'anime nostre, con abbondanti doni.”

Per concludere un piccolo testo rabbinico pieno di consolazione, per quando la via supera le nostre forze:

Un testo rabbinico sul padre che aspetta il ritorno del figlio

È simile al figlio di un re che era lontano da suo padre cento giorni di cammino. I suoi amici gli dicevano: Ritorna da tuo padre. Ma egli rispondeva: Non ce la faccio. Allora suo padre gli mandò a dire; Cammina quanto puoi secondo le tue forze, e io ti verrò incontro per il resto del cammino.
Così disse loro il Santo – sia benedetto – : Ritornate a me, e io ritornerò a voi (Ml 3,7). (Pesiqta Rabbati)

amministratore (2016-01-01), ultima modifica: 2016-03-04 (amministratore)
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