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Omelia 11 luglio 2010

autore: mons. Romano Rossi

Nella domenica 11 luglio scorso ricorreva la solennità di san Benedetto. Il nostro vescovo, S. E. Mons. Romano Rossi, è venuto a celebrare con noi la festa del nostro Patrono.

Tutta l’ufficiatura era di san Benedetto, ma le letture della Messa, per desideri, del Vescovo, erano quelle della domenica occorrente (dunque Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37).
Ecco la bellissima omelia, come abbiamo potuto registrarla, senza modificare il suo andamento discorsivo.


L'ascolto corretto della Parola del Maestro Gesù, dell'abate o abbadessa, della Regola, sta al cuore della spiritualità benedettina. Ma il monito classico del vangelo di Luca non è mai abbastanza preso sul serio, quello che Luca ci rivolge: "Fate attenzione dunque a come ascoltate" (8,18). È quello che ci dice anche questa mattina - voi sapete che i testi che abbiamo davanti sono la nuova traduzione della Bibbia, il nuovo Lezionario, e nel vangelo di oggi c'è un cambiamento molto significativo, quando Gesù alla provocazione maliziosa del dottore della legge che ha voglia di farlo chiacchierare per poi farlo inciampare, gli risponde: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». (La vecchia traduzione invece diceva: «Che cosa leggi?»).
Carissime sorelle monache, carissimi amici, come leggi? Il rischio degli uomini religiosi e anche delle donne religiose, non è di non ascoltare, ma è di filtrare, di annacquare, di intendere a modo proprio, forse non sempre in maniera consapevole, di giocare con le parole.
La terribile orazione colletta di oggi (che noi non abbiamo pregato perché qui celebriamo san Benedetto) fa pregare tutta la Chiesa così: "Signore, a tutti coloro che si professano cristiani concedi di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme".
Con estrema semplicità la preghiera è già un inizio di purificazione. A professarsi cristiani non c'è niente di male mai, anche in luogo pubblico, quando magari fa comodo, per cercarsi amicizie, per avere ammissioni e frequentazioni in ambienti ecclesiastici altolocati, per ricevere voti alle elezioni, professarsi cristiani. Però a coloro che dicono di essere cristiani Ignazio di Antiochia, uno dei primi Padri della Chiesa, direbbe: "meglio esserlo senza dirlo, che dirlo senza esserlo". "Concedi di respingere ..."
Questo dottore della legge voleva giocare su questo. Gesù lo riporta alla realtà: il modo di ascoltare umile, orante, consapevole del proprio limite è pur tuttavia quello che spinge verso la pratica: "Fa' questo e vivrai".
Il Vangelo non ci permette mai di stare al sicuro solo perché apparteniamo alla parte giusta. Ma nella concretezza della vita, nell'umiltà e nella consapevolezza del proprio limite, allora l'appartenenza si traduce nella verità del cuore e nella verità della vita.
"Chi è il mio prossimo?" E arriva questa parabola nella sua chiarissima, terribile semplicità, perché presenta una persona in grave difficoltà e davanti a tale persona fa passare i professionisti della Parola, perché il sacerdote, oltre a essere nel Tempio l'uomo del sacrificio, è l'uomo della Parola, della lettera, l'uomo che si professa dalla parte del Signore; ma per lui questo significa stare da quella parte della strada che lo mette bene al riparo dall'incomoda, pericolosa, fastidiosa vicinanza del poveretto massacrato per terra.
È interessante notare che Luca scriveva probabilmente per una comunità di lingua e cultura greca, borghese, benpensante, perbenista, amante delle belle forme, del ben dire, del ben essere, e che ribadisce con forza che i più micidiali e pericolosi motivi che ti tengono lontano dalla carità possono persino essere vantati in nome dei diritti di Dio. Pare che vada a cercarsele il Signore Gesù queste pungenti provocazioni: quando in nome della forma, della norma, della legge, nascondi la durezza di un cuore che ti rende incapace di comprometterti nell’amore.
“Come leggi?” la Parola cantata, proclamata, ascoltata. Pare che Gesù ci inviti a leggerla con la vita, con la concretezza della vita, in maniera che l’ascolto, nella maturità enorme della Regola benedettina, si trasformi, secondo la Regola stessa, in strutture di obbedienza e carità, carità e obbedienza ben equilibrate, che non lasciano assolutamente nessuno spazio. Basta pensare all’ospitalità, al tema della conversione.
Oggi ricordiamo anche la grande tradizione benedettina, ricordiamo Bernardo, Romualdo, Pier Damiani, Giovanni Gualberto e così via, che hanno interpretato l'ascolto nei termini di conversione, di trasformazione del cuore.
"Come leggi?". Nel capitolo 8 di Luca, nei discorsi in parabole, si legge: "Badate bene a come ascoltate". Perché l'ascolto può essere compiacimento. Dicevano gli scolastici medievali: "L'atto di fede non termina con l'adesione alla parola, ma alla res, al mistero, alla sostanza". E così l'atto di ascolto non termina unicamente all'adesione formale, e anche consolatoria, ma all'ascolto reale, efficace, obbediente appunto.

Sarebbe solo una severa ramanzina, se oggi la Chiesa non ci desse anche queste singolari, apparentemente casuali, concomitanze della seconda lettura, che, come sapete non è direttamente scelta in rapporto alle altre due, ma segue una lettura continua di un qualche testo del Nuovo Testamento, e oggi è così bella perché parla di quel buon Samaritano chiamato Gesù.
Voi che avete consuetudine con i Padri, sapete che già dal tempo di Ireneo, alla fine del secondo secolo, si leggeva nella parabola del buon Samaritano la storia di Gesù: Immagine del Dio invisibile, Primogenito di tutta la creazione, scende da Gerusalemme, poi scende dalla sua cavalcatura e si avvicina all'uomo, a me, e lo lava con l'olio e con il vino, con il suo sangue, lo cura, lo porta all'albergo della Chiesa, se ne fa carico. Il segreto sta qui. La Parola di Dio non è una scudisciata e basta, altrimenti basterebbe la legge. È il tempo dello Spirito, dello Spirito che viene donato, che va assaporato e viene tradotto in vita: "Fa' questo e vivrai".
Nel vostro coro, care sorelle benedettine, piccola luce, ma che irradia molto lontano da tanti anni e a cui tante persone sono profondamente debitrici, l'olio della vostra lampada si alimenta sicuramente dalla contemplazione della discesa del buon Samaritano nell'incarnazione, che ci rappacifica col sangue della sua Croce nella liturgia, nell'ufficio; dalla contemplazione del buon Samaritano che viene e ti guarisce, che ti rimette i debiti perché tu poi possa rimetterli a quelli che hanno mancato contro di te. La vita di un monastero, come ovviamente la vita di tutti i cristiani, è un'apertura incondizionata del cuore nel segno della fede, della speranza e della carità, come doni soprannaturali.
Carissimi laici, amici del monastero, sosteniamo con la preghiera e con l'affetto coloro che ci sostengono, perché anche loro possano accogliere questo carisma che scende dal cielo, l'agape come grazia, l'amore come dono, la concretezza, l'incarnazione della Parola ascoltata, così che, mentre da una parte ci danno l'esempio di essere fedeli nell'ascolto, possano gustare anche l'umile e riconoscente gioia di essere ascoltatori della Parola e coloro che la mettono in pratica, come dice Giacomo.
Vogliamo sostenerci a vicenda col ricordo e con la preghiera perché tutti, chiamati per grazia, non ancora confermati dalla grazia, possiamo correre nei precetti del Signore che fanno gioire il cuore, come abbiamo ascoltato questa mattina. E interceda per questo il santo Patriarca Benedetto, novello Abramo, novello Giacobbe, novello Giuseppe, novello Elia, novello Eliseo, come abbiamo sentito nella splendida sequenza.

da registrazione, non rivisto dall’autore.

amministratore (2010-08-01), ultima modifica: 2015-11-24 (amministratore)
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